Barbiana e Angicos: messaggi per il futuro

Studente e figlia durante un corso di alfabetizzazione con il metodo Paulo Freire a Angicos nel 1963.

Di Piergiorgio Reggio*

Vi sono tempi, come quelli odierni, nei quali la profondità delle trasformazioni – culturali, sociali, dei modi di vivere – rendono inattuali le forme abitudinarie di azione e di pensiero. Ne deriva una condizione di smarrimento, di profonda incertezza nella quale i punti di riferimento noti sono sfumati ma non ne emergono di nuovi e sufficientemente convincenti. Questa condizione interessa anche l’educazione, che è intrinsecamente legata alla quotidianità, alle modalità con le quali sentiamo, pensiamo ed agiamo.

In epoche come queste, nelle quali l’umanità sperimenta il proprio essere “senza casa”, come diceva Martin Buber, occorre tornare alle origini, alla ricerca delle fondamenta di una casa della quale necessitiamo oggi e per il futuro. In campo educativo vi sono luoghi simbolici che contengono patrimoni fondativi, tornando ai quali possiamo rigenerare pratiche ed idee. Tra questi vi sono Barbiana, dove si realizzò la più compiuta esperienza educativa di don Lorenzo Milani e Angicos, nel Nord-est brasiliano, dove iniziò l’avventura di alfabetizzazione con gli adulti di Paulo Freire, del quale celebriamo proprio in questo anno il centenario della nascita. Le due esperienze si svilupparono in contesti sociali e culturali assai differenti ma nello stesso periodo storico: la prima metà degli anni ’60 del secolo scorso, epoca contraddistinta dall’emergere di una forte valenza della dimensione politica nelle sfere della vita quotidiana, inclusa quella educativa.

La parola e la politica

Se torniamo, con atteggiamento critico di ricerca e di riscoperta autentica, a Barbiana e ad Angicos possiamo rintracciare alcuni elementi distintivi e ancora oggi attuali. In particolare, ci soffermiamo su tre temi emergenti da quelle esperienze: il valore della parola, la dimensione politica dell’educazione e la dignità delle culture.

Innanzitutto, in forme e contesti diversi, emerge con evidenza l’importanza attribuita – da don Milani e da Paulo Freire – al ruolo della parola nei processi educativi e per la promozione di una cittadinanza effettiva. Possedere ed utilizzare la parola erano per don Milani addirittura sinonimi di umanità, così come – al contrario – egli non considerava umano chi non conosce ed utilizza la parola. Insegnare e dare la parola è, quindi, compito primario dell’educazione. Si intende qui una parola non ridotta a semplice strumento comunicativo, peraltro evidentemente essenziale, ma – come sostiene Freire – in quanto forma del rapporto tra soggetto e mondo.

Le parole pronunciate compongono l’universo semantico di una persona, di un gruppo sociale, di una comunità ed esprimono il rapporto che essi stabiliscono con il mondo. La parola posseduta, appresa ed utilizzata, permette la lettura del mondo e la sua trasformazione. Siamo oggi dinanzi a sfide inedite dell’alfabetizzazione, riferita a nuovi linguaggi, saperi e competenze ma ancora attuale è il nesso che lega il possedere la parola – nelle sue varie forme – allo sviluppo di condizioni di cittadinanza effettiva. In senso critico possiamo rilevare come, tanto in don Milani quanto in Freire (in particolare, in quest’ultimo nella prima fase del suo pensiero), fosse presente una fiducia esplicita nel nesso causale tra conoscenza e giustizia sociale. Viva era la convinzione che conoscendo e utilizzando la parola si creassero condizioni di maggiore giustizia. In tutti questi decenni abbiamo preso concretamente consapevolezza di quanto tale nesso non sia direttamente causale ma come precise condizioni strutturali – materiali, personali, economiche,

culturali e sociali – intervengano nel favorire oppure nell’ ostacolare l’impiego della conoscenza per migliorare le proprie condizioni esistenziali. La relazione tra sapere e potere è influenzata in modo significativo da aspetti strutturali, della persona come della società. Ciò viene messo chiaramente in luce, ad esempio, nell’approccio delle capacità proposto da Amartya Sen e da Martha Nussbaum, laddove essi individuano l’esistenza di specifici “funzionamenti” che permettono alle capacità di esprimersi e senza l’attivazione dei quali le capacità e la conoscenza non risultano effettivamente utilizzabili.

Lo sviluppo della coscienza critica

A questo proposito, sempre in don Milani e in Freire ritroviamo, però, una consapevolezza evidente circa un aspetto rilevante dell’agire educativo. In entrambi si incontra, infatti, l’importanza attribuita alla politica come dimensione essenziale dell’educazione. Essa è orientata allo sviluppo della coscienza critica personale ma anche alla trasformazione del mondo. Il sapere non è patrimonio individuale (“serve per darlo”, secondo la definizione milaniana) ma collettivo, è un bene comune e come tale va trattato. La scuola di Barbiana ha evidenziato con chiarezza le cause strutturali e politiche del fenomeno dell’insuccesso scolastico; la pedagogia degli oppressi freiriana si fonda su un’analisi politica dei rapporti di potere e di dominio sottesi ad ogni processo di costruzione della conoscenza.

Certamente oggi la valorizzazione del valore politico dell’educazione va recuperata con spirito e forme diverse dall’epoca nella quale si realizzarono le esperienze di don Milani e di Freire. Temi quali la globalizzazione, la tutela del pianeta, la salute, la conoscenza, il rapporto tra tecnica e umanizzazione necessitano però di essere assunti nella loro dimensione eminentemente politica. Sono questi alcuni dei temi generatori della nostra epoca, le questioni che stanno alla radice, in quanto cause, delle situazioni-problema che quotidianamente incontriamo ma che contengono anche le potenzialità per una loro trasformazione e superamento. L’educazione può costituire una strada per rintracciare e analizzare i temi generatori, per sviluppare coscienza critica intorno ad essi, ai loro effetti ed alle strategie trasformative che si possono adottare per produrre cambiamenti.

Il valore della parola e l’essenzialità della dimensione politica dell’educazione sono oggi, a mio giudizio, due contributi ancora pertinenti e attuali, necessari per ricercare senso nell’agire educativo. Questi aspetti sono però connessi alla questione, ancora più profonda, del significato e del valore della conoscenza e della cultura. A Barbiana viene superata, con spirito vivacemente polemico, ogni gerarchia di valore tra culture differenti (urbane, del mondo contadino e della montagna…). Viene espressa una critica radicale nei confronti della cultura libresca, intellettualistica e senza riferimenti alla realtà concreta. Il sapere che viene dalla vita concreta è cultura a pieno titolo e ad esso vanno riconosciuti, innanzitutto in ambito scolastico, dignità e valore.

Analogamente nella proposta pedagogica di Freire ritroviamo la valorizzazione del sapere basato sull’esperienza e la necessità di intraprendere percorsi di sviluppo della coscienza critica a partire proprio dal riconoscimento della cultura di cui ciascuno – individuo e gruppo sociale – è portatore. Nei decenni che ci separano oggi dalle esperienze educative di Freire e di don Milani le differenze culturali si sono moltiplicate e, attraverso i processi di globalizzazione, mondi differenti sono entrati in contatto, generando spesso tensioni e conflitti. Il tema del riconoscimento reale della dignità delle culture – personali e di gruppo – è oggi ancor più pressante che in passato. Oltre le contrapposizioni tra culture, occorre però anche superare una forma, oggi assai diffusa, di superficiale tolleranza relativista per ricercare codici comunicativi essenziali ma condivisi. Necessitiamo di nuovi linguaggi e di nuovi modi di convivenza, che possono essere creati solo a partire dalla valorizzazione autentica di esperienze culturali e saperi diversi e gerarchicamente non ordinati.

Tornare a Barbiana e ad Angicos permette di compiere percorsi alla ricerca del senso dell’educare oggi e in futuro. Parola, politica e cultura sono elementi che hanno fondato quelle esperienze storiche e che interrogano, ancora oggi, interrogano le pratiche e le riflessioni educative. Reinventare oggi, dinanzi alle contraddizioni del presente, le lezioni di maestri autentici – come don Lorenzo Milani e Paulo Freire – è compito arduo ma potenzialmente assai fertile proprio per scorgere e praticare nuovi itinerari educativi adeguati alle condizioni della contemporaneità.

*Docente di pedagogia delle età della vita, Università Cattolica di MIlano e Brescia. Vice-presidente Istituto Paulo Freire Italia. Articolo pubblicato originariamente in “Rocca”, n°19/2021, pp. 36-37.

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